Il fascino intramontabile di «Zerofobia»: quando Renato Zero inventò Renato Zero   

2022-10-01 01:45:12 By : Mr. Hui Jue

Rena’, ma quanto durerà ‘sta Zerofobia? Finché avrà abbastanza stelle, il cielo

Renato ha fatto un’improvvisata ai genitori. È da un po’ che ha cambiato zona ma quando si tratta di tornare al 104 di via Fonte Buono, ogni scusa è buona per cambiare itinerario. Sarà che oggi è il suo compleanno, sarà che ci tiene a farsi fare gli auguri da chi gli vuole bene veramente, che quel caffè diventa l’occasione che attendeva da tempo per parlare a cuor leggero dei suoi esordi nel mondo della canzone. Nonostante i primi dischi non siano andati benissimo, finalmente si sono accorti di lui anche al di fuori della Montagnola.

La partecipazione al programma dell’uomo in ammollo ha divertito tanto mamma Ada. E chi se l’aspettava, Renato ospite da Franco Cerri! Angeli e Cornacchie, a quel programma dal nome buffo, Renato c’era andato alla seconda puntata.

E si è divertito anche lui a duettare con Franco Cerri, perché Angeli e Cornacchie è un programma di una Rai d’avanguardia, con il pubblico che gira liberamente nello studio mentre l’artista di turno esegue il suo pezzo. Anche Renato ha cantato passeggiando tra gli spettatori, dopo un inconsueto preludio, una cosa a metà strada tra un esperimento di Uri Geller e una mano di gioco all’Allegro Chirurgo.   

Intendiamoci, niente di particolarmente ricercato, una cosetta alla buona. Renato in pista che ondeggia al ritmo di una base registrata. Già. Renato balla da solo. Perché quelli della casa discografica, una band non gliela daranno mai. Nonostante il terzo album abbia conseguito un discreto successo di vendite, dopo l’uscita di Trapezio la RCA lo ha collocato in una sorta di limbo.

Per tutta una serie di motivi: per prima cosa Renato non può definirsi un cantautore. Non perché non sappia comporre testi validi, quanto perché è Renato stesso a fare del suo meglio per non sembrare uno di loro.

Quelli del ’76 sono tutti dei giovanotti, giovani uomini magari molto diversi nell’aspetto, ma tutti comunque provvisti di quella dose minima di “normalità” che non guasta mai in un curriculum: De Gregori, Cocciante, Baglioni, Battisti, De André, Guccini, e – quando la smetterà di scrivere oscenità – forse anche Lucio Dalla.

Di cosa parlano? Molto spesso di politica, con la chitarra sempre nella mano destra e lo sguardo immancabilmente a sinistra. E naturalmente cantano e scrivono canzoni d’amore. Sono questi i grandi contenitori dove “pesca” tutto il cantautorato. 

Si domandano alla RCA. “Roma non è Londra e la provincia italiana è poco propensa agli eccessi”. Dopo tutto, è proprio Renato il primo a pensarla così. Ha scelto di fare tutto di testa sua anche a costo di sembrare un alieno. Nel salutare i genitori, scendendo le scale promette a sé stesso che l’anno che verrà sarà diverso. Ha tanto materiale da elaborare, strofe già compiute, alcuni appunti ed anche semplici rime abbozzate, scritte di getto su un pezzetto di carta durante una vecchia vacanza alle isole pontine.

L’anno vecchio è finito ma tutto è ancora come prima: gli operai e gli universitari sono in subbuglio. Gli scontri nelle università vengono servite dal telegiornale all’ora di cena, portando sulle nostre tavole una società in fermento. Tira aria di cambiamento. C’è voglia di qualcosa di nuovo, in tutti i settori. Da qualche settimana la Rai sta mandando in onda un nuovo rotocalco, si chiama Odeon: hanno addirittura fatto vedere una donna nuda. Moralisti e benpensanti si scatenano ma la Rai ha deciso di tirare diritto.

Vuole fare il punto della situazione e presentare il suo nuovo progetto, che non si limita alla realizzazione di un nuovo disco: ha deciso infatti che non prenderà più ordini da nessuno, vuole dire basta a tutti i tentativi di normalizzazione che la casa discografica ha voluto imporgli. Non farà il cantautore a tutti i costi, né il diverso a corrente alternata, una volta maschio e una volta femmina. Ha le idee chiare, si dà il caso che andrebbe anche di fretta ma come al solito il bar della RCA è superaffollato. Sebbene sia piuttosto spartano è un bar per pochi eletti ed è dunque il luogo migliore per incontrare le persone che contano.

Eccone due: c’è Ruggero Cini al bancone che sta parlando con due tecnici, sarà meglio non mettergli pressione. Renato ha con sé la cartellina con le tracce, deve solo cogliere l’attimo. Ruggero Cini è l’uomo che gli occorre per colorare di nuova musica le sue canzoni. Cini è uno dei riferimenti più autorevoli della RCA, un mentore di cui tutti rispettano il valore. Possiede una grande musicalità, ha scritto melodie che sono già dei classici, come quella de La Bambola, la canzone che ha mandato in orbita Patty Pravo. Ed è stato lui, con i suoi arrangiamenti classico-pop, ad aver regalato a Claudio Baglioni quel sound che è diventato il suo marchio di fabbrica. Vicino alla cassa scorge anche la figura elegante di Piero Pintucci. Un altro molto quotato alla RCA: il suono del suo pianoforte sarebbe perfetto per conferire al nuovo disco una certa atmosfera.

Nella cartellina ci sono undici canzoni, tutte delle hit potenziali. Ma non può dedicarsi esclusivamente alla composizione, deve inventarsi un personaggio nuovo se vuole diventare altro. La sera telefona al suo fotografo. Si chiama Arpad Kertesz. Renato lo conosce bene. Ha realizzato lui le copertine dei primi tre ellepì. Su No, Mamma No! Renato potrebbe ricordare un sacerdote dell’antica Tebe, mentre su Invenzioni , un soldato di un esercito fuori dal tempo. Per Trapezio invece, ha ritratto Renato davanti un plotoncino di ballerini con le facce tutte uguali.

Arpad Kertesz deve riuscire a far emergere quel tocco di mistero e di raffinata ambiguità che avvicini la gente senza irritarla. Più semplicemente, Renato gli chiede di renderlo inconfondibile una volta per tutte. Kertesz gli dà appuntamento nel suo studio sulla Salaria. Farà un’eccezione, perché a casa non riceve mai nessuno, ha tantissimi impegni. È il fotografo numero 1 delle star che gravitano su Roma.

Il taglio col passato è netto. Per la prima volta Renato è ritratto a figura intera. È vestito con un elegante mantello bianco, ha i capelli lunghi e scurissimi. Ricorda vagamente Paul Stanley ma al posto della stella del Lover dei Kiss, mostra sulle guance due cerchietti da Pierrot. Guarda dentro l’obiettivo, con il risultato che chiunque osserverà la copertina, gli leggerà fin dentro l’anima. Con la copertina ormai in tasca può finalmente dedicarsi solo alle canzoni.

Ruggero Cini e Piero Pintucci sono più grandi e più esperti di Renato. Stanno per trasformare un bozzolo allo stato grezzo in uno contenitore di superclassici. Sul nuovo disco lavoreranno i migliori musicisti della RCA: Luciano Ciccaglioni alle chitarre, Mario Scotti al basso, Massimo Buzzi alla batteria, mentre al sintetizzatore Moog ci sarà Alessandro Centofanti. E naturalmente loro due, il polistrumentista Piero Pintucci e Ruggero Cini alla direzione dell’orchestra. Cini curerà anche gli arrangiamenti di tutti i brani del disco. Con una squadra del genere Renato non è più solo Renato. È diventato altro. È diventato Renato Zero.

Mi vendo è la canzone che trasforma per sempre un Renato qualsiasi in uno come Renato Zero: Seguimi io sono la notte, il mistero, l’ambiguità. Quel che altri preferirebbero tener segreto diventa il suo programma elettorale, attraverso il quale ottenere nuove preferenze tra il pubblico. Sono io la chiave dei tuoi problemi, guarisco i tuoi mali, una promessa in cui vien voglia di credere. Nella prima strofa Renato volteggia su un arpeggio dal sapor Bossa nova che va ad intrecciarsi con un 4/4 drittissimo, come se lo Studio 54 si fosse trasferito sulla Tiburtina.

Il lento incedere, quasi ipnotico, di Vivo, fa da contrappunto alla velocità del pezzo precedente, introducendo un nuovo motivo stilistico per Renato Zero: ho venduto al mondo al mondo i sogni miei; io mendicante disteso al sole, sacco di stracci senza più parole, non chiedo a Dio se ha pietà di me. La religiosità di Renato torna a bussare forte, stabilendo un continuum con la spiritualità già accennata nei precedenti lavori. Una caratteristica che era passata quasi inosservata.

Con Sgualdrina Renato inizia a porsi seri problemi di coscienza. Sulle note “made in Supertramp” e con un finto annuncio di una finta hostess, arriva il Renato Zero più ilare:

“Attenzione, avvertiamo i passeggeri di avere una sgualdrina a bordo. Siete pregati di allacciare le cinture di castità e di non fumarle, grazie“

Il disco prosegue con Tragico Samba, brano nel quale Renato inserisce nuovamente una tematica divisiva come l’aborto. Gli psicofarmaci ormai, è una vita che li mandi giù, per te abortire è come chiudere un occhio, è da dieci anni che sei cieca ormai. Un fraseggio che suona dicotomico se collegato al Pierrot in copertina: proprio lui, quello che crea gli incontri con la notte, con il mistero e l’ambiguità, si rivela essere il più conservatore di tutti.

L’ultima canzone del lato A arriva velocemente, proprio come dovrebbe fare un’Ambulanza. Le chitarre e le tastiere replicano il suono di una sirena, mentre Renato dichiara una volta per tutte la sua opinione sulla droga: ogni volta che mi sarai entrata in mente, dentro al sangue nuovamente, strega.   

La seconda facciata è aperta da un’altra canzone potentissima: Morire qui è la sorella gemella di Mi vendo, l’una è la conseguenza dell’altra. Si avverte una certa tensione: gli archi accompagnano il racconto di un uomo che non si è arreso alle convenzioni, alle regole imposte da una società ipocrita ed avvitata su sé stessa. Non è finita lo sento, potrà cambiare il vento – ricordando le sue origini – Se è vero ch’ero un ribelle, se ci credevo un po’ – nella consapevolezza di avere forza abbastanza per riuscire a cambiare le cose: ho un’anima con me, conosco quanto vale.

La tensione accumulata non si stempera nemmeno un po’ ne La Trappola, il brano più nichilista: La febbre sale, dimenticherai di che colore è l’amore, iI profilo di lei, il successo certo non vale. Regina è una canzone che Renato Zero ha scritto assecondando la sua innata vocazione neorealista. In tre minuti mescola droga, vanità, prostituzione ed arrivismo: Sporca, ladra, rubi e te ne vai? E quei trucchi, credi a me, non stanno su come la cerniera che incosciente tiri giù.

Manichini sembra presa a prestito da Burattino senza fili. Anche Edoardo Bennato ha immaginato esserci un Mangiafuoco a muovere fili invisibili che ci manovrano nelle scelte che dovrebbero restare individuali. Ma mentre Bennato evoca laicamente soltanto i Gendarmi e la Legge, Renato Zero chiama in causa Dio e Satana, maschi e femmine, frammenti di fragili famiglie del sottoproletariato di periferia: Chi ti muove i fili è un padre ubriaco da far pietà, son pochi i fili che muove tua madre che troppi figli ha.

La prima verrà tagliata dalla produzione RCA. Renato fa spallucce, sentendo di aver già ultimato un qualcosa di unico, di innovativo e di dirompente. La favola mia troverà spazio in futuro. Adesso c’è da chiudere bene Zerofobia: è così che si chiamerà il disco. È la chiusura del cerchio per Renato Zero. L’aver scelto, come cognome d’arte, un aggettivo che la maggior parte della gente considera un insulto, non farà che dare risalto a quanto Renato ha già intuito: il suo nuovo disco sarà un trionfo.

Il cielo, il brano di chiusura, contempla un finale in crescendo ed è un colpo da fuoriclasse: le sue istanze antiabortiste – Quanta violenza sotto questo cielo, un altro figlio nasce e non lo vuoi – viaggiano sicure a bordo di un Bolero, nel quale il pianoforte, inizialmente sommesso, cresce progressivamente d’intensità sospinto dall’organo, ed ancora dal rullo dei tamburi, che introducono il gran finale che sfocia nel coro conclusivo che chiude l’album in dissolvenza, lasciando, nel cuore di chi ascolta, l’estraniante sensazione di un risveglio dopo un sogno.

Renato Zero ha realizzato un disco di grande effetto. Avrebbe a disposizione molto materiale fotografico ma la RCA preferisce tirare al risparmio evitando i costi di una doppia copertina che, per l’album d’esordio No, Mamma no! , si rivelarono un macigno. Nel retro di quella copertina smilza, la frase di ringraziamento dedicata agli artisti che hanno contribuito al lavoro, suona anche come un sottile sberleffo alla sua casa discografica, che non ha mai creduto pienamente in lui:

Mario Scotti, Luciano Ciccaglioni, Massimo Buzzi, Ruggero Cini, Rodolfo Bianchi, Valerio Calavotti, Alessandro Centofanti, Guido Podestà sono stati colpiti dalla «Zerofobia» durante l’esecuzione dei brani.      

Nell’ultimo mezzo secolo Renato Zero non ha fatto solo grande musica pop. È stato l’apripista che ha abbattuto i primi steccati di una omofobia aberrante. Quarantacinque anni fa, quando Zerofobia impazzava alle radio, l’omosessualità non era solo un tabù, era una “malattia” di cui vergognarsi. Eravamo una società retrograda: il contrasto alla diversità e l’incoraggiamento all’omologazione, costituivano l’inconfessabile nucleo centrale di una morale da società preindustriale.

Se ad alcune sfumature oggi non si fa più caso, il merito è delle grandi personalità come Renato Zero. Anche lui, a modo suo, ha cambiato la Storia. Già sul finire del 1977 Zerofobia stava diventato un disco di culto e si stava trasformando in una sorta di musical. Renato Zero noleggiò un tendone da circo dalla famiglia Togni. Per alcuni mesi la carovana si spostò per l’Italia ospitando i primi concerti di Renato Zero sotto un vero tendone da Circo.

Vennero toccate molte città ma i concerti più memorabili resteranno quelli romani. Renato aveva fatto montare il tendone sulla via Cristoforo Colombo, a quattrocento metri da via Fonte Buono. Praticamente, sotto la casa dei genitori.

Passava spesso a trovarli tra un concerto e un altro. Un giorno il padre, vedendolo attraversare di fretta l’androne, lo chiamò dalla finestra:  

Rena’, ma quanto durerà ‘sta Zerofobia?”

Il figlio rallentò il passo e guardandolo dal basso gli rispose:

 Finché avrà abbastanza stelle, il cielo”

Ve li mostriamo tutti insieme. Di seguito, la registrazione integrale di un concerto tenutosi a Roma, nel tendone del Circo Togni allestito lungo la via Cristoforo Colombo nel dicembre del 1977.

Tra questi, anche l’autore dell’articolo che state terminando di leggere. Voleva andare ai concerti sulla Cristoforo Colombo ma i biglietti, che costavano 2500 lire, erano letteralmente introvabili. Allora faceva le poste per provare ad incontrare il suo idolo. Durante una di queste sortite riuscì a prendere alcuni scatti, usando la macchinetta fotografica regalo della Prima Comunione.

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