Blocco 181, per raccontare bene Milano tocca inventarsela

2022-06-18 15:37:35 By : Mr. Coy Kwai

Sto seguendo la serie Blocco 181. La sto seguendo per due ragioni, fondamentalmente. La prima è che per lavoro mi devo tenere aggiornato su tutto quello che succede, specie se ha in qualche modo a che fare col mondo della musica, e Blocco 181 ha a che fare col mondo della musica per più di un motivo, a breve ci arrivo. La seconda è che comincia a fare caldo, la pressione bassa mista all’afa rende chi è già di suo poco incline al movimento ancora più pigro, cosa di meglio della scusa di dover vedere una nuova serie Tv per stare sul divano a cazzeggiare?

Dicevo della musica. Blocco 181, una storia alla Giulietta e Romeo ambientata nella periferia multietnica di Milano (un mix tra la Barona e Corvetto), italiani vs salvadoregni, ha Salmo tra gli ideatori, nonché come curatore delle musiche e anche attore, nei panni di un durissimo sgherro, secondo di un narcotrafficante italiano cresciuto nel quartiere e poi divenuto rifornitore dei locali del centro, Blocco 181 è completamente attraversato dalla musica, ovviamente in prevalenza musica rap, ma anche trap e latina, fatto determinante, credo, per rendere questa serie quel che vuole essere, o vorrebbe essere nella testa dei suoi ideatori: la prima serie tv italiana che riesca nell’impresa titanica di dare di Milano un’idea tridimensionale e dell’Italia tutta un luogo nel quale la multietnia è molto più avanzata di quanto il mainstream, inteso come arte, comunicazione e più in generale immaginario, dia da intendere.

A vederla da qui, da questo quartiere immaginario cadente, violento, imbarbarito da droghe e povertà o forse semplicemente ancora non emancipato, vallo a sapere, la periferia di Milano sembra non troppo diversa da quella di una qualsiasi metropoli americana, per come dalla tv e dal cinema ci sono arrivate, ma anche di una Parigi o di un Londra, sempre dalle medesime finestre sul mondo. Un luogo dove valgono regole primordiali, primitive, dove la vita vale meno di zero e la gerarchia verticale non può e non deve essere aggirata. In questo, siamo pur sempre dentro le televisioni, una storia d’amore a tre, due uomini e una donna, un italiano di buona famiglia, buonissima, abita a un tiro di schioppo del noto giardino in centro con fenicotteri rosa, un marocchino che vive nel blocco e una salvadoregna che fatica a sottostare alle regole maschiocentriche e patriarcali della Misa, il clan del Salvador che ai bordi del blocco trova rifugio, qualcosa che al momento sembra trovare asilo solo dentro la televisione, liquidità in ambito sessuale, multiculturalismo e inclusività, le scene di sesso, esplicite per quanto lo possa essere in una serie tv, sprazzi di poesia in mezzo al livore e alla decadenza del ghetto. Qualcosa che suona come una contemporaneizzazione intellettuale di una storia per altro piuttosto routinaria, due squadre contrapposte, un amore impossibile, qui un poliamore impossibile, un marocchino in capo agli italiani che sta con la sorella del capo della Misa che sta anche con un ricco rampollo della Milano bene, con tanto di sorella sballata che entra e esce dalle comunità, un po’ come la fatina dai capelli turchini di Pinocchio che diventa transgender e di colore.

Una serie ben fatta, per altro, Blocco 181, parlo di come è girata e, perché no, anche di come è scritta, con archetipi un po’ troppo vicini ai cliché, certo, il capo dei narcotrafficanti che sembra uscito dalle discoteche di Corso Como, il mondo della notte descritto tutto uniforme a questa monolitica visione del mondo, ma ben recitati, Salmo è una vera sorpresa, e soprattutto con una capacità di tenerci avvinti alla trama anche in assenza di colpi di scena.

Da esule in terra milanese da qualcosa come venticinque anni, e da esule che proprio tredici anni fa ha deciso di raccontare per la prima volta Milano in un libro, fino a quel momento avevo sempre e soltanto parlato della mia Ancona, prima andando a fare un giro delle periferie a piedi, quel Tangenziali scritto a quattro mani con Gianni Biondillo di cui ho più volte parlato, e poi andando a scrivere un romanzo ambientato proprio nelle periferie, e con il rap a fare da colonna sonora, anche se lì la trama ruotava più intorno al terrorismo di matrice islamica, erano quei tempi lì, parlo del romanzo Milanabad, devo dire che trovo Blocco 181 interessante anche per questo aver dovuto ricostruire da zero una periferia ghetto, violenta, estrema, una sorta di Manhattan in 1997 Fuga da New York di John Carpenter, andando a mashuppare due zone, la Barona a sua volta un filo romanzata da Marracash e la Corvetto delle case popolari, una specie di banlieu inesistente in natura che però, confesso, ben rende allo sguardo dello spettatore, anche di uno spettatore che quelle zone le conosce, pur non abitandoci. Al punto che credo, non ci metterei comunque la mano sul fuoco perché in questo in molti hanno fallito prima di loro, penso che potrebbe davvero essere la volta buona che Milano trovi asilo dentro le nostre televisioni, dopo la supremazia quasi totalitaria di Roma con le varie sortite fuoriporta (ricordo che c’era appunto un programma di Concita De Gregorio che si intitolava FuoriRoma, un programma che non parlava dei castelli o comunque della provincia della capitale, ma di tutta Italia, tanta e tale è la prosopopea dei romani nel guardare al mondo), penso alla Napoli di Gomorra, alla Bologna di Coliandro, o via via alla Valle d’Aosta di Rocco Schiavone, comunque sempre romano. Una Milano inesistente, caricata a pallettoni, estremizzata, inventata anche topograficamente, ma pur sempre Milano, mica sarà un caso che molti dei rapper che ci devastano i timpani stiano da queste parti, dallo stesso Salmo a Guè e Jake, passando per Ghali, Rkomi, Lazza e tutta quella pletora lì.

Ben venga quindi questa operazione fantasiosa, nella speranza che prima o poi ci sia anche qualcuno in grado di raccontare Milano, davvero, senza bisogno di ricorrere al crime o a reminiscenze shakespeariane. Se mai dovessi incontrare Salmo in una qualsiasi ora post-tramonto, sia messo agli atti, gli darei seduta stante smartphone e portafogli, nelle vesti del delinquente, col cuore che batte tutto per il cagnolone nero, è credibilissimo.

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