Al bar non si parla di politica - ItaliaOggi.it

2022-08-27 01:22:27 By : Ms. Jenny Wong

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La cifra specifica di questa campagna elettorale, anomala per la stagione estiva, è l'indifferenza. Ieri sera sedevo a uno dei tavoli all'aperto di un bar molto frequentato nel centro abitato vicino al luogo delle mie vacanze: ero insieme a due amici e, come accade nei pomeriggi delle ferie, si chiacchierava. Uno dei due ci ha fatto notare che solo un gruppo di anziani parlava di politica, ma non della politica dei nostri giorni, ma di quella di un tempo.

Ce ne rendiamo conto in ogni occasione e in ogni caso: nessuno ha in mente le elezioni, nessuna cittadina o nessun cittadino che non sia notoriamente ingaggiato nell'attività di qualche partito. Tutti gli altri non hanno in nota la campagna elettorale e i suoi protagonisti, ma non hanno nemmeno in nota i tragici problemi con cui ci stiamo già confrontando e che aggrediranno la vita quotidiana di tutti a partire dalle prossime settimane.

Una tragica, incosciente indifferenza, le cui responsabilità sono ben definite e riguardano il sistema politico realizzato dall'asfaltatura dei partiti tradizionali realizzati da noti pensatori patriottici alla Di Pietro. Dopo quei partiti, cui andava attribuita la lotta di Liberazione e la Costituzione, non s'è salvato nulla. Lo storico rapporto tra cittadinanza e politica intermediato e veicolato dalle migliaia di sedi periferiche -le sezioni- delle forze politiche, s'è dissolto.

Certo, se il gruppo di magistrati della procura di Milano ha dato il via alla trasformazione del Paese, ciò che ha occupato lo spazio lasciato libero dai partiti storici ha dato il colpo di grazia alle relazioni sociali, verticali e orizzontali che sono il terreno su cui attecchisce e cresce un sistema democratico partecipato.

Il centro-destra, il cui baricentro era costituito da Forza Italia, sicuro ancoraggio centrista, è trascorso in modo irrisolto, senza riuscire a introdurre nella società quegli elementi di liberalismo economico e sociale a cui era stata improntata la prima campagna elettorale di Silvio Berlusconi, l'unica in cui si proponeva un attraente cambiamento, lasciato poi nel nulla.

A sinistra, le varie aree reduci dal Pci e dalla Dc non trovarono collante migliore che quello dell'antiberlusconismo, un modo utile per accantonare i problemi (anche perché se si fosse passati dall'antiberlusconismo alle proposte sarebbe stato impossibile trovare un collante) e per compattare parzialmente l'elettorato indisponibile a votare la destra e/o Berlusconi, l'uomo nero della Nazione, il nemico del popolo.

Lo schema, peraltro, ha funzionato sia col centro-sinistra che col centro-destra e la demonizzazione degli avversari ha determinato il realizzarsi dell'alternativa formale tra i due poli, che peraltro poco ha portato in termini di riforme effettivamente utili a determinare il recupero della competitività o il rientro parziale, ma sensibile dallo storico deficit di bilancio.

Questo equilibrio, l'equilibrio delle demonizzazioni, è saltato con i problemi esplosi nell'estate del 2011, lo spread sopra i 500 punti, una sostanziale insostenibilità politica ed economico-finanziaria dello stato di fatto. Certo, Giulio Tremonti porta la sua versione assolutoria della politica di quel governo Berlusconi, ma i fatti, anche drammatici, si sono succeduti portando a conseguenze reali e concrete. Anche se sono convinto che la lettera di Trichet&Draghi costituì una specie di pronunciamento in stile sudamericano, resta il fatto che un premier impreparato e pavido non ritenne di reagire e si arrese. Meglio così, visto cosa sarebbe potuto accadere se avesse reagito.

Da allora, dopo il governo del prof. Monti, disastroso non tanto per le scelte specifiche quanto per l'assenza di qualsiasi comunicazione convincente e aperta al dialogo (dietro le quinte operava in termini decisivi Giorgio Napolitano), si sono susseguiti governi privi di una chiara ed evidente investitura popolare.

Nell'elezione del 2013, il Pd non vinse, anche se si autodichiarò vincitore per bocca del suo povero (nel senso di poveretto) segretario Pier Luigi Bersani, e si trovò a dover partecipare alla soluzione destra-sinistra, l'alleanza degli opposti che dette il via al governo di Enrico Letta (indecisione e assenza di leadership) e il successivo di Matteo Renzi, in possesso del drive occorrente per imporre una politica riformista. In virtù dell'accordo con Berlusconi, riuscì a operare con efficacia, sino alla rottura del patto il giorno dell'elezione di Sergio Mattarella. Berlusconi e D'Alema volevano Giuliano Amato (che poi ha fatto duramente pagare a Renzi la sconfitta). Da quel momento, l'intesa venne meno e Renzi, a dispetto dell'adesione alla sua linea di Alfano e di altri esponenti del berlusconismo, incassò varie sconfitte, culminate nel risultato negativo del referendum, nel rifiuto di Mattarella di dargli le elezioni anticipate e, infine, nella sconfitta elettorale col ritorno al potere, a sinistra, del circolo Pickwick dei reduci del Pci, gestori di ciò che rimaneva della sua armatura economica.

Qui, secondo le mie valutazioni, va individuato il germe che ha minato il sistema. Già, nella legislatura 2018-2022 il centro-destra s'è trasformato in destra-centro, operazione che di sicuro ha lasciato senza riferimenti i tradizionali ceti moderati.

Letta inizia con questo disegno (accordo con Calenda) per poi volgere a sinistra a porre attenzione a partiti che, senza l'alleanza con il Pd, non conseguirebbero nemmeno un seggio. Se portano voti, ne portano pochi, molti di meno di quelli disponibili verso il centro. Del resto, dopo la torsione estremista dei repubblicani di Trump, i democratici vincono le elezioni al centro, abbandonando le ubbie estremiste di Bernie Sanders.

Quindi, la scelta di Letta è una scelta sconfittista, volta a tenere in piedi il piccolo campo trincerato della ditta. E contribuisce al disamore per la politica di una parte rilevante di elettorato italiano. Calenda e Renzi hanno messo in piedi una risposta: il 25 settembre ne scopriremo l'efficacia.

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