"a cadrega" - la sedia - Informazioneonline.it

2022-09-24 01:11:58 By : Ms. Anna Wang

Lo dico subito a Giusepèn così lo faccio felice. So che ama tanto quando mi imbatto con la classica Maria che ha nel cuore un bagaglio enorme di aneddoti e di storie. Giusepèn è felice quando le sente,queste storie, come se stesse vivendo quel periodo, quella situazione, quell'attimo preciso.

La signora Maria (il nome è convenzionale) sta uscendo dal "market" con la sporta appresso. Non vedevo da anni, quel tipo di borsa capiente, confezionata con i resti di pelle che un bravo calzolaio ha messo assieme. Mi riconosce, la signora Maria. Ci eravamo visti a "la Provvidenza" in occasione della Presentazione del mio libro dal titolo "ul Giusepèn".

La accompagno sino alla vettura, dove la attende la figlia. Sentite un po' cosa si dicono le due donne: "t'è urzu 'nda a pruedi da par ti. Mo te se fe menò chi da chel sciu lì" (hai voluto andare a far la spesa da sola. Adesso ti fai accompagnare dal quel signore). Maria chiarisce, il motivo e parla della sua esperienza al commento di "ul Giusepèn" e mostra chiaro e tondo il suo disappunto nei confronti della figlia, quando replica "te edi ca tu di a veitò? Te me credei non e chel sciui lì al ma fei gni'n menti a me giuentù" (vedi che ti ho detto la verità? Non mi hai creduto e questo signore mi ha fatto ricordare la mia gioventù).

Poi Maria attacca: "al ma parlò dàa cadrega e dul cadreghen" (mi ha parlato della sedia e del seggiolino) e "men gu di dul scialettu e dul scussaen" (io gli ho parlato dello scialle e del grembiulino). La spiegazione prosegue in italiano. Le sedie di una volta erano più o meno uguali; oltre all'intelaiatura in legno, erano tutte impagliate nel sedile e talune anche nello schienale. "ogni tantu, i schinchignèan" (talvolta si disarticolavano per il continuo uso e …. dondolavano sino ad avere bisogno di un bravo falegname che le rimetteva a posto).

Ride, Maria, ma non si ferma lì. Tira in ballo "ul scalfen" (lavoro a uncinetto) che mostrava tutta intera l'abilità delle donne di allora. "ul me scialettu l'è fei a scalfen, da lana e al meteu su ogni mattina, anca d'estoi, par riparà i spal e a gua" (il mio scialle è fatto a uncinetto, con la lana e lo indossavo ogni mattina, anche d'estate, per riparare le spalle e la gola).

"i cadreghi ean in co, par setassi giù, ma i u purteam in curtil, pàa ciciaroa dul dopu disnò e ga gnea foa tutti i pendizi dàa genti di cà da ringhea" - bello il "quadretto" che Maria compone. E' dentro la traduzione. "le sedie erano in casa (certo, intorno al tavolo), per sedersi (che altro, se no?), ma noi (si riferisce alle comari, ma pure gli uomini lo facevano) portavamo le sedie in cortile per la solita chiacchierata del dopo pranzo (ma anche per il dopo cena) e si parlava di tutte le faccende che interessavano gli abitanti delle case di ringhiera).

A questo punto, Maria con uno sguardo dolcissimo che illuminava non solo gli occhi, ma l'intero viso, incorniciato dai suoi capelli bianchissimi, raccolti sulla nuca da un bellissimo cignon (francesismo importato a Busto Arsizio dai Liguri) che faceva da contrasto col suo abito rigorosamente nero dentro cui c'era il suo corpicino esile, rugoso, con i segni del tempo portati con estremo pudore che la facevano vedere bellissima. Tanto che, nel salutarla le ho chiesto con pudicizia "posso darle un bacio?" e lei …."darbon?" (davvero?) ed io l'ho stretta adagio sfiorandole la guancia sinistra. L'ho vista felice, Maria e, felice mi è apparsa anche sua figlia. Ho atteso che la vettura voltasse l'angolo per poi andarmene. Giusepèn è lapidario: "t'è fei ul to dueu" (hai fatto il tuo dovere), ma so che per lui, il "dovere" significa compiere la giusta azione.