Un Natale vecchio cent'anni: uno sguardo al 25 dicembre 1921 - TRIESTE.news

2021-12-27 05:17:59 By : Ms. Ella Lee

25.12.2021 – 07.01 – La diffusione sempre più capillare, sempre più pervasiva, della foto nella carta stampata prima e nei giornali online dopo ha portato alla scomparsa dell’arte della descrizione nelle testate: non vi sono più quei quadri, quelle particolareggiate e vive descrizioni che rendevano famosi certi resoconti di viaggio, certi momenti memorabili. Si lascia che siano le foto a parlare e al giornalista rimane di elencare i fatti. Eppure il medium è diverso e, come con la scrittura, c’è fotografo e fotografo. E tuttavia senza l’immagine ad accompagnarla, oggigiorno l’articolo è carta buona solo per pulirci i vetri. Un esempio di quest’arte della descrizione ancora sopravviveva il 25 dicembre 1921, cent’anni orsono: ne è un esempio la descrizione di un anonimo articolista del Piccolo per il Natale di allora. Descrizioni vive e vibranti; certo cariche di quell’insopportabile filantropismo zuccheroso che tutt’oggi affligge molte testate; ma non di meno un’efficace finestra nella Trieste del 1921.

L’articolo, intitolato “Natale, gioia d’ogni casa“, venne pubblicato su “Il Piccolo: edizione del mattino” del 25 dicembre 1921. La premessa laica ricorda che ormai “Il Natale ha ormai perduto il suo significato religioso, è divenuto festa di tutto, oasi gastronomica in mezzo ai crucci, alle traversie della vita quotidiana”. Allora come adesso, la Vigilia era luogo di acquisti all’ultimo secondo, di frenetica rincorsa al regalo; eppure l’atmosfera era meno stressata, meno rabbiosa: “Per la strada ieri non s’incontravano che facce sorridenti. Ognuno salutava, incontrando un amico, con gesto largo, con voce forte, con tono allegro. In tram, che spesso assomiglia a una vetrina da museo carica di mummie, si intrecciavano, da una parte all’altra, conversazioni gaie; vi si scambiavano cortesie, sorrisi”.

L’autore descrive i preparativi per la cena di Natale, elencando i tipici piatti triestini: “Si concede l’indulgenza plenaria per ogni manchevolezza, in vista… della “piadina” colle “zibibe”, “i pignoi”, “el levà”, “la ciculata”, la farina e il latte per le “fritole”. E si può persino rinunciar alla lettura del giornale per aiutare la moglie che prepara i “rafioi”. Man mano che arrivano, rigorosamente mezz’ora in anticipo, i primi ospiti “nella pentola brontolano i “caprazoli” che si faranno con il risotto mentre, sull’altro fornello friggono lo “passere” od il “bisato” tradizionali”.

Le donne invitate, ansiose di rendersi utili, si affollano in cucina, attorniano l’esaurita massaia; intanto gli uomini discutono ma senza accalorarsi delle (tante) crisi in corso nel 1921. È lo spunto per una divertente scenetta: “Le invitate – tanto per rendersi utili, dicono esse; per essere d’impaccio, frontola tra sé l’estenuata massaia – si danno d’attorno per fare qualcosa. – Signora, mi ghe dago un’ociada al pesse – – Ma che mai, signora Teresa, la se sporca – – Ma no, za semo de casa –

Fuoriuscendo tuttavia dalla casa, per le vie e nei caffè, l’articolista offre il meglio della propria abilità, delineando un popolino gaudente e simpatico che affolla osterie e locali, accomunato da una forte gioia di vivere: “Ma uscendo di casa, per le vie, nei caffè, nelle osterie, nei locali pubblici si “vede” veramente la viglia di Natale. È là che la si festeggia, che la si gode con pienezza schiettamente popolana. Il popolano che chiama il cameriere “flaida” e beve bicchierini di “limpida”, trangugia “russe” a più non posso, è quello che più gode in queste giornate. Il popolo fanciullone, mattacchione, generoso sino al sagrificio, fa la sua festa in allegria”. Compare così “la donna vestita alla buona, per lo più avvolta nel classico fazoleton”; così come “la mularia dispettosa” e “i fidanzati bersaglio di tutti i frizzi e di tutti i motti”. Uscendo da un locale alla Vigilia, alle quattro di notte, l’autore incontra anche “un ubriaco”. Egli “è allegro, felice della sua ebrezza. Vi canta in faccia una canzone che sa di tutti i liquori trangugiati”. Non si può che concludere che “Il Natale è buono anche per gli sperduti e i vagabondi”.

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