L'olio di Bartolomeo

2021-11-16 15:33:56 By : Mr. HIRAM BAI

Il vecchio Comandante giurò che tutto quello che diceva era vero e che solo grazie all'olio avrebbe potuto raggiungere Porto Maurizio e consegnare al Marchese i Brenta di Barolo intatti. Non c'era da meravigliarsi. Non ha mai detto sciocchezze. Era un uomo tutto d'un pezzo. Un uomo di mare che aveva una predilezione mai abbandonata: quella di restare fedele alla sua scorta di bottiglie di Barolo...

Di tanto in tanto, soprattutto nelle calde giornate estive, con il caldo che sembra rivestirti di una tuta pesante piena di quell'umidità impalpabile che solo l'entroterra sa riservare, salivo nel mio vecchio seicento e lo buttavo. diciamo, sui tornanti che hanno creato la lunga strada in salita. Ci sono andato per due motivi. La prima, perché mi entusiasmava andare in salita, assaporando curva dopo curva il morso delle gomme accompagnato dal rombo di un motore che mi divertivo a inventare e che facevo urlare attraverso una marmitta lucida come si usava nei primi anni Sessanta del l'ultimo secolo. La seconda ragione era che stavo per incontrare un mio vecchio, vecchissimo amico che poteva raccontare le storie più incredibili che avessi mai sentito. Tutte storie di mare. Vissuta da lui in prima persona, durante la sua vita trascorsa solcando i mari di tutto il mondo. Una specie di Conrad e Simbad messi insieme.

Bartolomeo Pagani sedeva su una sedia scassata, un tempo a dondolo, nel giardinetto davanti alla sua abbagliante casa bianca, dietro la quindicesima curva che parte dalla “Madonnetta”, come la chiamava lui. C'era una piccola radura davanti al suo cancello. In parte occupato da una vecchia lavatrice che ha lasciato il posto giusto per una macchina come la mia. Ogni volta che parcheggiavo negli stessi centimetri quadrati e, anche se non lo facevo apposta, mi evitava la solita gallina che beccava il razzo di un terreno erboso. Il Comandante, come amava essere chiamato, dopo la solita frase pragmatica che non dimenticava mai: Getta l'ancora e vieni dentro, mi fece sedere nell'unica grande stanza che era il pianterreno della sua casa. Litografie e dipinti di tipo votivo, tutti di ispirazione marina, ricoprivano le quattro pareti, intervallati da oggetti che ricordavano la vita avventurosa di Bartolomeo. Tra alcune vecchie fotografie in cui si poteva intuire la sua figura vestita da Capitano, spiccava un telegrafo di macchina di ottone lucido; un timone in legno consumato tempestato di bronzo e un lungo tubo di gesso. Ciò che colpì il visitatore, però, furono tre oggetti posti su altrettante mensole che completavano l'arredo di quella piazza di poppa, come la chiamava.

Una era una stupenda "segnavia": la luce bianca che si trova in cima all'albero di prua delle barche. Naturalmente era una lucerna che risaliva chissà quanto tempo fa e che Bartolomeo si è preso cura di pulirla, lucidarla e farla funzionare di volta in volta. L'altro oggetto era un modellino di una goletta a tre alberi, costruito dentro una bottiglia e che gli era stato regalato da un vecchio zio che lo aveva realizzato durante uno dei viaggi fatti su un brigantino che riforniva di biscotti l'esercito. Inglese nel Mar Nero, durante la guerra di Crimea. Il terzo oggetto era il modello di barca più bello che avessi mai visto. Perfetta in ogni minimo dettaglio, era la realizzazione in scala di un leudo genovese. Si trattava di imbarcazioni di una certa stazza, armate di un albero verso prua, caratterizzate da una disposizione non verticale. Infatti pendeva verso prua, trattenuto da stralli e drizze che lo tenevano in tensione per sostenere la grande e unica vela. Lo scafo possente, con grande capacità di carico, permetteva una navigazione lunga, sicura, ma lenta. Si trattava insomma di un'imbarcazione da trasporto, in grande uso fino all'inizio del Novecento, soprattutto in Liguria. Con l'avvento della macchina a vapore, il suo uso cessò e venne progressivamente dimenticato. Tuttavia, gli ultimi vecchi Capitani non lo dimenticarono e Bartolomeo fu uno di loro.

"Il vino bianco non ha corpo"

"U Comandante", come faceva sempre quando qualcuno andava a trovarlo, meno di un minuto dopo essere entrato nella "piazza di poppa", sarebbe stato assente per qualche istante per apparire inevitabilmente con un'anonima bottiglia di vino. Guai a chiedergli se il vino era bianco, come si poteva supporre, bello e fresco, in una giornata calda. Bartolomeo odiava il vino bianco. O meglio, non ne ha mai parlato perché, diceva, il "bianco" non ha "corpo". Ed è stato allora, se sapessi guidarla, che Bartolomeo ha inventato le sue storie, le sue avventure, tutte o quasi nate dal vino. Sì, perché la sua vita l'ha trascorsa in un leudo che trasportava botti di vino assolutamente rosso, su e giù tra i porti della Liguria e addirittura fino alla Provenza. Ma, Bartolomeo, perché solo vino rosso? Gliel'ho chiesto una volta. Vedi, mi disse, l'aria marina dell'Alto Tirreno ha la particolarità di rovinare molti vini. Il vento, il sale nell'aria, le ossida, cambia il gusto, l'aroma, insomma le rovina. In passato il vino veniva principalmente trasportato in botti di legno, come facevo io con il mio leudo, e il vino era in balia del tempo. Lanciato in mare, senza additivi, conservanti, stabilizzanti e quant'altro, per lui era facile subirne le conseguenze. I vini bianchi erano un disastro. Non potevano resistere anche a brevi viaggi. I rossi invece, soprattutto il Barolo e la corposa Barbera che mi ha portato dal Piemonte, erano “duri” che non si lasciavano “corrodere” dall'aria di mare, ha aggiunto Bartolomeo.

Il suo leudo aveva il suo porto d'origine a Savona ed è da qui che iniziavano i suoi viaggi verso le mete dei suoi commerci. Nella vecchia darsena di Savona arrivavano le botti di Barolo e Barbera, che grossi carri trasportavano lungo i tornanti della Provinciale. Venivano dal Monferrato e oggi sarebbe interessante capire da quale paese sono effettivamente partiti. Bartolomeo non me l'ha mai specificato perché nemmeno lui lo sapeva. A quel tempo, il commercio non era molto chiaro nelle sue articolazioni. I "brente", come venivano chiamati dai marinai, venivano accatastati in un capannone sotto le mura dell'antico Forte e lì aspettavano la loro destinazione. Si può capire come veniva trattato all'epoca questo vino e come subiva l'uso di mille lanci ancor prima di compiere il suo viaggio finale verso il consumatore. Barolo e Barbera dovevano davvero mostrare coerenza per resistere ai viaggi di quel tempo. Tuttavia Bartolomeo curò meticolosamente il piano di carico del suo leudo per offrire l'alloggio più stabile al brente anche a fronte di improvvisi peggioramenti del tempo e del conseguente "sollevamento" delle onde. Il moto ondoso non lo preoccupava troppo per l'incolumità del leudo, quanto lo preoccupavano il beccheggio e il rollio per gli effetti del suo carico. Bartolomeo, prima di ogni partenza, si assicurava di avere il secchio dell'olio a poppa della sua barca. Si trattava di una botte piena di olio d'oliva che non era certo il più pregiato, ma che comunque serviva alle necessità e funzionava perfettamente secondo quanto lui stesso spiegò.

Infatti un suo racconto di avventure aveva proprio quest'olio come soggetto e come attore un brutto temporale in cui si imbatté nei pressi del Promontorio di Noli, durante un'estate del 1906. C'era un mare di forza sei, sette, con un vento di scirocco che mi spingeva con una corrente di parecchi nodi, iniziava il racconto di Bartolomeo. Il leudo andò alla deriva e io lo tenni frenato con un'ancora galleggiante che solcava rallentando la barca. Le onde, trattenute dall'attrito, si infrangevano, infrangendosi ora contro le pareti di dritta, ora contro le pareti di sinistra del leudo. Erano così alti che si rovesciarono con gran fragore sulla coperta dove erano deposti i brenta e l'acqua poi si riversò fuori dagli ombrinali. Il leudo si piegò, salì e precipitò verso il cavo delle onde, senza tregua. Quel giorno stavo trasportando un carico di Barolo per un certo Marchese che mi aspettava a Porto Maurizio. Era un personaggio strano, molto esigente, che aveva assoluta fiducia nel mio lavoro. Lo conoscevo da molto tempo ed era un buon acquirente del vino che portavo. Il Barolo nelle brentas batteva violentemente e avevo paura che sfondasse anche le botti. Non restava che affidarsi all'opera del petrolio. L'avevo usato in alcune occasioni simili in passato e aveva funzionato. Questa volta però il mare era molto più fitto e facevo fatica ad arrivare al barile di petrolio. Per fortuna l'avevo assicurata con delle funi a poppa della barca, con il berretto rivolto verso l'esterno. Ho aperto il tappo e l'olio ha cominciato a sgorgare copiosamente, spruzzandomi dappertutto per lo schianto delle onde. Si riversò in mare e presto formò una grande macchia attorno al leudo mentre girava su se stesso. Il mare sembrava calmarsi. O meglio, le onde, pur continuando il loro moto ascensionale, non si infrangevano più contro la barca e non si agitavano, di conseguenza il leudo. La mia barca si è comportata come un'altalena. Le onde si alzavano e si abbassavano senza ricevere brutti colpi e soprattutto i brentas non erano più martellati dall'infrangersi dei marosi.

Bartolomeo giurò che tutto quello che aveva detto era vero e che solo grazie all'olio avrebbe potuto raggiungere Porto Maurizio e consegnare al Marchese il Brente di Barolo intatto. Non c'era da meravigliarsi. Bartolomeo non diceva mai sciocchezze. Era un uomo di un pezzo. Un marinaio che aveva una predilezione mai abbandonata: quella di restare fedele alla sua scorta di bottiglie di Barolo che riposavano sacralmente nella sua cantina e stappavano quando andavo a trovarlo. Caro Bartolomeo, chissà che fine ha fatto la tua cantina ora che te ne sei andato.

Anni dopo, mentre frequentavo un corso di Storia Navale, ho avuto modo di ricordare Bartolomeo e il suo olio e di verificare che la sua avventura nei pressi di Capo Noli fosse assolutamente vera. Un vecchio libro di manovre navali, pubblicato nel 1907 anche dalla Royal Naval Academy, riportava una storia sull'"uso del petrolio per calmare le onde". L'autore si riferiva ad Aristotele che racconta come i pescatori dell'epoca versassero olio per rendere la superficie del mare liscia e trasparente per meglio osservare il fondale. Come Plinio ricordava l'azione calmante dell'olio, vissuta dagli ufficiali della sua squadra e come era consuetudine usare l'olio benedetto sul mare in tempesta. Era nota anche l'usanza dei marinai spagnoli, portoghesi e italiani di gettare in mare l'acqua di risciacquo con i resti grassi dei pasti, come offerta ad una Madonna miracolosa, alla quale era attribuito un influsso speciale e benevolo sulle onde. La conseguenza immediata fu che le onde del mare in tempesta cessarono di infrangersi. Evidentemente Bartolomeo si era affidato a questo nella sua avventura, sia pure in una versione meno spirituale.

Benjamin Franklin, studioso e uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d'America, trovandosi nell'assedio di Louisbourg del 1757, notò come la superficie del mare fosse più calma e compatta tra due navi da cui i cuochi gettavano oltre il bordo dell'acqua grassa. Il naturalista Linneo, contemporaneo di Franklin, durante il suo viaggio attraverso la Groenlandia occidentale, apprese come i pescatori olandesi della Groenlandia portassero sempre a bordo delle loro barche, alcuni barili di petrolio per calmare le onde. Lo stesso Franklin, in una memorabile lettera indirizzata al dottor Brownrigg, cita il seguente rapporto originale, datato da Batavia il 5 gennaio 1770, che è forse la prima testimonianza in epoca moderna che si abbia a che fare: "nei pressi delle isole San Paolo e Nuova Amsterdam una tempesta ci ha assalito... e il capitano è stato costretto, per una maggiore sicurezza della nave, a versare olio in mare per evitare che le onde si infrangessero su di esso, il che ha avuto un effetto molto buono e credo che noi deve esserne uscito sano e salvo”. Insomma, il petrolio fu considerato a lungo una panacea nella marina mondiale come calmante dei guasti. Un certo comandante Nelson, della fregata inglese “Palos”, scrisse nel “ giornale di bordo" che durante un viaggio a Yokohama nel 1886, si trovò in grande difficoltà a causa di una tempesta e che, seppur scettico, ammise di aver salvato la sua nave grazie all'utilizzo del petrolio. Anche il comandante Schrotler, del grande piroscafo “Pretoria” della Hamburg American Line, nel 1904, nel viaggio bet tra Boulogne e Hoboken, fu sballottata per due giorni a causa di un terribile temporale. Nel diario di bordo scrisse: “… il vento raggiunse una velocità oraria di 75 miglia e la Pretoria, nonostante la sua grande mole, fu scossa da onde gigantesche con grave tormento del carico e del materiale trasportato. Ho deciso di utilizzare l'olio facendolo defluire ai due lati della prua, da due contenitori vicino all'acqua, dotati di un tubicino per consentire un flusso moderato. In pochi minuti le onde cessarono di infrangersi violentemente sui fianchi della nave, dando luogo ad un movimento moderato, lungo e appena percettibile, mentre le acque continuavano ad essere molto agitate a poca distanza dalla nave. Nonostante il lungo periodo di utilizzo dell'olio, il suo consumo era di soli 27 litri. "

Questa usanza è stata discussa con grande furia alla Conferenza marittima internazionale di Washington all'inizio del secolo scorso. Gli “atti” riportano: “…i vari governi rappresentati chiedono che a tutte le navi marittime sia fornita una sufficiente scorta di olio animale e vegetale insieme ai mezzi più idonei per applicarlo, e questo al fine di calmare le onde in caso di maltempo meteo". A seguito di queste raccomandazioni, diverse compagnie di navigazione hanno permesso di regolamentare l'uso del petrolio a bordo. Molte Camere di Commercio stabilirono dei premi per il suo impiego e alcune compagnie di assicurazione ne pagarono le spese. Come sempre accade, c'erano anche dei perfezionismi tecnici. Sono stati inventati i “sacchetti per olio” a forma di tronco di cono a sezione ellittica. Una sorta di contenitori di tela, spugnosi per il lento rilascio dell'olio. Tuttavia, alcuni comandanti hanno preferito un uso più immediato. Come ha fatto il nostro Bartolomeo. Fanno defluire l'olio in mare, attraverso gli ombrinali in coperta e anche attraverso gli scarichi dei wc di prua. C'era perfino un certo capitano Karlowa che vinse un premio al “Nautischer Verein zu Hamburg”, nel 1888, per il miglior “ricordo” sull'uso dell'olio in mare. L'anno successivo, le "Regole di Karlowa" furono regolamentate dal Washington Hydrographic Office e furono adottate universalmente. Queste recitavano così: “Fuggendo da una tempesta, l'olio deve essere distribuito da prua, sia per mezzo di sacchi, sia lungo le condutture di scarico come latrine, lavelli e ombrinali. Si espanderà quindi lungo i lati e verso la poppa della nave. Se invece l'olio viene lanciato solo da poppa, non ha effetto contro le onde. Se la nave, durante la navigazione, si torce e vira con il pericolo di prendere il mare davanti e attraversare se stessa, l'olio deve essere distribuito, oltre che da prua, anche dalle murate a poppa del traverso. "

Insomma, una letteratura che forse nemmeno Bartolomeo conosceva, anche se un giorno mi accennò un certo Capitano Raineri che mise a punto speciali boe inventate dagli inglesi per distribuire olio alle bocche dei porti e, come potevano mancare, "oil razzi", lanciati a distanza mediante cariche esplosive. Chissà, ma oggi farebbe sorridere anche Bartolomeo, la vista di un marinaio che getta olio in mare per calmare le onde. Forse qualcuno lo denuncerebbe per inquinamento come reato ambientale. Sai, la vita cambia gli atteggiamenti: sia quelli degli uomini che quelli delle cose. Basti pensare come Barolo e Barbera, e perché no anche vino bianco, oggi possono viaggiare molto più sicuri anche senza l'ausilio dell'olio.

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